Una guerra Iran-Israele non è nell'orizzonte immediato
Tempo di lettura: 3 minuti“Una guerra tra Iran e Israele non è imminente”. Così Amos Harel su Haaretz. Cenno che conforta in mezzo a tanti segnali oscuri.
Il cronista israeliano accenna alla recente denuncia delle autorità iraniane, che affermano di aver sventato un complotto arabo-israeliano volto ad assassinare il generale Qassem Soleimani, guida carismatica delle Guardie rivoluzionarie, sminuendone la portata, nonostante la forma più che ufficiale dell’annuncio, ad opera del capo della divisione dell’intelligence del suddetto corpo militare.
Nonostante la gravità dell’accusa, dunque, per Harel non si intravede una guerra all’orizzonte immediato.
Certo la tensione si va accumulando da anni. E pesano le parole di Robert Malley, già funzionario di pregresse amministrazioni americane e presidente dell’International Crisis Group, che in un articolo pubblicato sulla rivista Foreign Affairs questa settimana ha scritto “che le condizioni per una guerra regionale [in Medio oriente] sono più mature di quanto non siano mai state negli ultimi anni”.
Ma, afferma Harel, tutto questo non si traduce “in un rischio immediato di una guerra che veda coinvolto Israele”. Ciò è vero per la parte iraniana, che nonostante tuoni contro Tel Aviv e abbia minacciato ritorsioni per i diversi attacchi israeliani contro obiettivi iraniani in Siria e Iraq, non è stata conseguente, date anche, secondo Harel, talune azioni preventive israeliane.
Ma anche dalla parte israeliana, secondo Harel, non si vedono segnali che indichino la preparazione di una guerra contro Teheran.
Israele è ora impegnata in un difficile passaggio volto a costruire un governo dopo un’elezione andata a vuoto e un’altra che non ha consegnato una maggioranza a nessuna coalizione.
Sul punto, Harel nota che la spinta del presidente Reuven Rivlin per costruire un governo di unità nazionale tra i due partiti maggioritari, Likud e Kahol Lavan, è certamente motivata da ragioni di “sicurezza”, ma non si riferisce a un pericolo di una guerra con Teheran.
“La situazione in Medio Oriente è particolarmente complicata – conclude Harel -, ma non ci sono chiari segnali all’orizzonte che indicano una guerra immediata, tale da rovesciare tutti i calcoli politici”. Insomma, equilibrio incerto, ma il rischio di una catastrofe a breve sarebbe stato sventato.
Da qui anche le tante iniziative di distensione avviate in questi giorni, che abbiamo riferito in altre note.
Resta il pericolo, alimentato dalla denuncia iraniana, che certo è gravissima, nonostante i media d’Occidente non vi abbiano dato il giusto rilievo: derubricato a evento secondario, l’attentato, se riuscito, avrebbe sicuramente scatenato una reazione e quindi una guerra regionale.
Troppo rilevante l’importanza del personaggio, quasi venerato in Iran. Il suo assassinio sarebbe stato l’equivalente di quello di un Capo di Stato.
Secondo il capo dell’intelligence delle Guardie rivoluzionarie, Hojatoleslam Hossein Ta’eb, gli assassini, una cellula assoldata da servizi segreti stranieri, avrebbe dovuto colpire durante i giorni della Fatimiyya, una festività sciita.
Essi avrebbero progettato di comprare una casa presso un Hussainia – una sorta di cappella privata per cerimonie religiose proprie dell’islam sciita – appartenente al padre di Soleimani, quindi, scavato un tunnel sotterraneo, intendevano piazzare dell’esplosivo sotto il luogo di culto, da far detonare all’arrivo del generale.
La cellula terroristica è stata arrestata, e tutto è finito qui. Si spera che tali follie non si ripetano, al di là delle responsabilità vere o attribuite (ovviamente Harel è più che evasivo su un possibile mandato israeliano: giustamente, rimarcarlo produrrebbe solo nuove tensioni).
Intanto va registrato che l’Iraq è preda di convulsioni nuove: ne abbiamo dato notizia nella nota di ieri. Ci sono stati morti e feriti. Il vento della primavera araba ha ripreso a soffiare. Si spera che al martoriato popolo iracheno sia risparmiata una nuova tragica stagione. Hanno già dato, fin troppo.