27 Novembre 2025

Venezuela: dagli squadroni della morte ai regime-change

di Davide Malacaria
Venezuela: dagli squadroni della morte ai regime-change
Tempo di lettura: 5 minuti

Elliott Abrams, ex inviato Usa per il Venezuela, ha illustrato la sua ricetta per “sistemare” il Venezuela, “un Paese che non capisce né rispetta, ma che si sente in diritto di riorganizzare come un mobile nel salotto di Washington”, annota Michelle Ellner su Antiwar.

How To Topple Elliott Abrams’ Delusion

La sua proposta è intrisa della stessa febbre da Guerra Fredda e della stessa mentalità coloniale che hanno plasmato il suo lavoro negli anni ’80, quando la politica estera statunitense trasformò l’America Centrale in un cimitero”.

“La mia infanzia in Venezuela è stata plasmata da storie della nostra regione che il mondo raramente conosce: storie di sfollamenti, di squadroni della morte, di villaggi cancellati dalle mappe, di governi rovesciati per aver osato agire al di fuori dell’orbita di Washington. E so esattamente chi è Elliott Abrams, non dalle biografie dei think tank, ma dal dolore insito nel paesaggio dell’America Centrale”.

“Abrams scrive con la sicurezza di chi non ha mai vissuto nei paesi destabilizzati dalle sue politiche. La sua ultima argomentazione si basa sul presupposto più pericoloso di tutti: che gli Stati Uniti abbiano l’autorità, in virtù del solo potere, di decidere chi governa il Venezuela”.

“Questo è il peccato originale della politica statunitense nell’emisfero, quello che giustifica tutto il resto: le sanzioni, i blocchi, le operazioni segrete, le navi da guerra nei Caraibi. Il presupposto che l’emisfero sia ancora un’estensione dello spazio strategico statunitense piuttosto che una regione con una propria volontà politica”.

“In questa narrazione, il Venezuela diventa un ‘narco-stato’, un comodo nemico. Ma chiunque si prenda la briga di studiare l’architettura del traffico globale di droga sa che il più grande mercato illegale del mondo sono gli Stati Uniti, non il Venezuela”.

“Il riciclaggio avviene a New York e Londra, non a Caracas. Le armi che alimentano i corridoi della droga del continente, usate per minacciare, estorcere e uccidere, provengono in larga misura da produttori americani. E la storia stessa della guerra alla droga, dalle sue partnership di intelligence alle sue ali paramilitari di contrasto, è stata scritta a Washington, non nei quartieri popolari del Venezuela”.

Peraltro, “Gli Stati Uniti hanno a lungo armato, finanziato e protetto politicamente i propri ‘narco-alleati’ quando ciò risultava opportuno per obiettivi strategici più ampi. I Contras in Nicaragua, i paramilitari in Colombia e gli squadroni della morte in Honduras. Erano strumenti politici, e molti di essi operavano con il diretto supporto diplomatico di Abrams”.

“Sono cresciuta con le storie di ciò che quelle macchine hanno fatto ai nostri vicini. Non c’è bisogno di visitare l’America Centrale per comprenderne le ferite; basta ascoltarle. In Guatemala, le comunità Maya piangono ancora un genocidio che i funzionari statunitensi si rifiutano di riconoscere […]. In Salvador le famiglie continuano ad accendere candele per le centinaia di bambini e madri uccisi in massacri che Abrams ha liquidato come ‘propaganda di sinistra’”.

“In Nicaragua, le ferite lasciate dai Contras […] rimangono visibili nelle storie di cooperative bruciate e insegnanti assassinati. In Honduras, la parola ‘scomparsi’ non è qualcosa di remoto, è profondamente ricordata, un ricordo degli squadroni della morte potenziati sotto la bandiera dell’anticomunismo statunitense”.

“Quindi, quando Abrams mette in guardia dai ‘regimi criminali’, non penso al Venezuela. Penso alle fosse comuni, ai villaggi bruciati, alle prigioni segrete e alle decine di migliaia di vite latinoamericane distrutte dalle politiche da lui promosse. E quelle tombe non sono metafore. Sono la cartografia di un’intera era di interventismo statunitense, l’era che Abrams insiste nel resuscitare”.

Oltre al “narcoterrorismo”, contro Caracas anche le accuse riguardo asseriti “agenti iraniani” e l’allarme sull’influenza cinese. Ma “il Venezuela non è preso di mira per la droga, l’Iran o la Cina. È preso di mira perché ha costruito relazioni e percorsi di sviluppo che non rispondono a Washington”.

“[…] La sua fantasia per il Venezuela si basa su un’altra illusione imperiale. L’idea che gli Stati Uniti possano bombardare basi aeree, sabotare infrastrutture, schierare forze speciali in un paese sovrano, inasprire le sanzioni fino a far crollare la società e poi ‘instaurare’ un governo compiacente come se il Venezuela fosse un avamposto disabitato: si tratta di una fuga mozzafiato dalla realtà”.

“Il Venezuela è una nazione di 28 milioni di abitanti, con un’identità nazionale plasmata dalla resistenza al controllo straniero, soprattutto al controllo sul petrolio. Abrams presenta un golpe assistito militarmente come se fosse un compito amministrativo di routine, obliterando il costo umano, le ricadute regionali e l’assoluta certezza della resistenza popolare. È la stessa fantasia imperiale che perseguita l’America Latina da generazioni: la convinzione che i nostri paesi possano essere riprogettati con la forza e che il nostro popolo lo accetterà obbediente”.

“Presuppone inoltre che, una volta insediato il governo preferito da Washington, il petrolio scorrerà liberamente. Nulla potrebbe rivelare un’ignoranza più profonda del Venezuela. Il petrolio, in Venezuela, non è semplicemente un’esportazione o una fonte di reddito; è il terreno su cui la sua sovranità è stata combattuta, tradita, rivendicata e combattuta ancora […] Credere che le truppe straniere sarebbero benvenute come gestori della loro sovranità più profonda significa essere completamente accecati dall’arroganza”.

“Poi c’è la questione delle sanzioni. A Washington, vengono trattate come misure tecniche, leve politiche, strumenti di contrattazione. In Venezuela, ci sono carenze negli ospedali, file in farmacia, entrate crollate, valuta in caduta libera e famiglie costrette a migrare. E qui le impronte digitali di Abrams sono impossibili da ignorare: fu lui a progettarle allora e ora usa le sanzioni “che hanno strangolato l’economia, che per accusare il governo di non essere riuscito a gestire la situazione” economica.

“Abrams afferma che le sanzioni ‘hanno fallito’, come se fossero state pensate per migliorare la vita dei venezuelani. Ma le sanzioni non hanno fallito. Sono riuscite a destabilizzare la società, soffocare i servizi pubblici e a generare la crisi umanitaria che ora viene utilizzata per giustificare l’intervento. È una logica circolare: creare le condizioni del collasso e poi brandire il collasso come prova che il governo deve essere rimosso”.

Non solo, Abrams “presenta il cambio di regime come una soluzione all’immigrazione, ma la storia racconta una dinamica totalmente diversa. Gli interventi statunitensi non fermano l’immigrazione; la generano”.

“[…] Finché Washington non abbandonerà l’idea di essere proprietaria dell’emisfero, l’America Latina non sarà mai al sicuro. Né da Abrams, né dai colpi di stato, né dai programmi della CIA, né dai blocchi, né dalla Dottrina Monroe”.

“E forse il segno più chiaro di questa ipocrisia imperiale è vedere Trump accusare i suoi oppositori interni di ‘sedizione’ per un semplice video in cui i parlamentari ricordano ai militari statunitensi che sono legalmente tenuti a rifiutare ordini illegittimi”.

“Eppure quelle stesse forze politiche elogiano l’idea che gli ufficiali venezuelani violino il loro ordine costituzionale per rovesciare un governo che Washington detesta. L’America Latina ha vissuto abbastanza a lungo sotto questo doppio standard, abbiamo finito di pagarne il prezzo”.

 

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