1 Giugno 2025

Usa: fine dell'estensione della Nato

di Davide Malacaria
Usa: fine dell'estensione della Nato
Tempo di lettura: 4 minuti

In un’intervista all’ABC news l’inviato Usa per l’Ucraina Keith Kellogg ha riconosciuto come legittime le richieste di Mosca di non allargare la Nato. Un niet chiaro e forte, quindi, all’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica, ma che si estende, come ha specificato, anche a Georgia e Moldavia.

Se si tiene presente la storia recente, si tratta di una svolta epocale, dal momento che è dal 2008, dal vertice Nato di Bucarest, che l’Occidente aveva messo in agenda l’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato (la pressione sulla Moldavia è successiva, diventando cogente con l’attuale presidente Maya Sandu). Ciò per porre a Mosca criticità crescenti ai suoi confini, sia sul fronte occidentale che orientale.

La pace in Ucraina passa anzitutto da queste strettoie, dal momento che Mosca chiede un accordo quadro globale, che elimini le controversie nate nell’era dell’unipolarismo Usa, che vedeva nell’ostinazione russa di difendere i suoi interessi nazionali e nel dinamismo economico cinese dei limiti al dilagare del potere imperiale, anche perché ne complicavano la presa planetaria (come accaduto, ad esempio, durante l’invasione irachena e nella guerra nell’ex Jugoslavia, nelle quali Mosca e Pechino si sono poste come elementi frenanti, sebbene, allora, con scarsi risultati).

Nato vs Russia

Dal momento che la guerra ucraina è nata e si è sviluppata come uno scontro tra Occidente e Russia, è ovvio che per arrivare a una pace serve un accordo tra i veri contendenti, che vada a intersecarsi con l’intesa di più basso profilo, anche se più urgente, tra Mosca e Kiev.

L’Ucraina è solo una pedina di un gioco – al massacro – più grande, con le autorità di Kiev che si sono consegnate alle forze che l’hanno usata e abusata per la loro lotta esistenziale contro la Russia, avendo eliminato dalla scena politica e militare quanti, in Ucraina, avevano più a cuore gli interessi nazionali che quelli dell’Occidente.

Naufragata la speranza che la guerra potesse piegare la Russia – la tanto sbandierata, quanto assicurata, vittoria strategica… – l’interesse dei circoli internazionali che hanno voluto questa guerra è quella di perpetuarla, nella speranza di erodere le risorse di Mosca per limitarne l’influenza globale.

E per perpetuare la guerra si stanno muovendo in due direzioni: la prima è quella di far naufragare i negoziati avviati a Istanbul, la seconda è quella di costringere Trump a cambiare il suo approccio negoziale, riportando la politica estera americana sui binari della precedente amministrazione Usa.

Così Kiev, su ispirazione di tali circoli, ha tentato di mandare a vuoto il summit che dovrebbe tenersi a Istanbul il 2 giugno, con la scusa che Mosca non gli ha inviato un memorandum nel quale siano esposte le sue richieste per porre fine alla contesa, che invece l’Ucraina ha inviato alla controparte.

Alle obiezioni avanzate da Kiev, la Russia ha risposto che i negoziati devono svolgersi in via riservata, come ovvio che sia per evitare ingerenze indebite che li complichino o li facciano fallire. Per questo, ha aggiunto, esporrà le sue richieste nella sede opportuna, cioè Istanbul.

Graham e Blumenthal a Kiev

Non è un caso che nel pieno di tale controversia due senatori americani, il repubblicano Lindsey Graham e il democratico Richard Blumenthal, tra i più accesi sostenitori della prosecuzione delle ostilità, il 30 maggio siano sbarcati a Kiev, per assicurare a Zelensky che i suoi precedenti sponsor hanno ancora un grande potere all’interno dell’Impero e impedire così che sfugga alla loro presa sotto la pressione trumpiana perché persegua la pace.

I due senatori sono i principali sponsor di una iniziativa legislativa che mira a introdurre dazi al 500% verso i Paesi che acquistano beni russi, norma che, se approvata, cadrebbe come un maglio sulle aperture di Trump a Mosca, complicando non poco la distensione globale.

Nonostante tali pressioni, e le dichiarazioni eversive del Cancelliere tedesco Friedrich Merz sull’invio dei missili Taurus a Kiev (a rischio escalation), la Russia ha comunicato che la sua delegazione si recherà a Istanbul per trattare.

L’Ucraina, dopo aver manifestato pubblicamente la sua ritrosia, sembra che alla fine si deciderà a fare altrettanto a motivo delle pressioni in tal senso dell’amministrazione Trump (Washington Post).

Ma è ancora presto sia per dare per certo l’incontro sia per fare un pronostico sui suoi esiti, non solo per le controversie in corso, ma anche perché al summit parteciperanno, in una forma non ancora chiara, i consiglieri per la Sicurezza nazionale di Gran Bretagna, Francia e Germania in rappresentanza dei cosiddetti “volenterosi”, che finora non hanno aiutato a calmare le acque, anzi.

Su un processo tanto complicato, poi, aleggia l’ombra di Trump, che ultimamente si è fatto ondivago nel suo approccio al conflitto, come palesano le sue critiche ad ampio spettro contro Zelensky (definito ultimamente “testardo“) e Putin (che sarebbe “impazzito“).

L’errore macroscopico di Trump è stato quello di approcciare il complesso conflitto ucraino in modalità cowboy, atteggiamento tipico degli americani. Aveva promesso di chiuderlo in breve tempo, tempistica invero impossibile da rispettare. E ora la mancanza di risultati rischia di farlo apparire debole sia agli occhi dei suoi sostenitori che dei suoi nemici. Da qui la frustrazione attuale, che potrebbe porre criticità ancora più rilevanti in un processo già fin troppo caotico. Al netto delle incertezze, però, riteniamo, speriamo, che mantenga la linea perseguita finora.