11 Novembre 2020

Usa: Trump non si arrende, nonostante tutto

Usa: Trump non si arrende, nonostante tutto
Tempo di lettura: 3 minuti

Aspra battaglia negli Stati Uniti, dove Joe Biden si muove come presidente incaricato e Trump chiede la verifica dei voti.

I repubblicani si aggiudicano il seggio del Senato in palio nella Carolina del Nord, i cui seggi sono rimasti aperti fino al 12 novembre e dove Trump per ora è in testa: uno sviluppo che ha risollevato il morale della sua squadra.

In tale temperie i media stanno giocando un ruolo decisivo, accreditando come acclarata la vittoria di Biden e negando fondamento alle richieste di Trump.

Usando a tale scopo la censura, come è capitato alla conferenza stampa di Trump, oscurata mentre chiedeva la verifica in questione, e alla portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, che ha subito analoga sorte.

Censura preventiva

La motivazione della censura è che le accuse di frodi elettorali non avrebbero  fondamento né ci sarebbero prove di quanto dichiarato.

L’uso massivo della censura da parte di media e social in questa battaglia politica interpella, dal momento che si tratta di uno strumento da usare con cautela, essendo proprio dei regimi autoritari.

Se, per esempio, si fosse esercitata al tempo della guerra in Iraq, chi avesse messo in dubbio la veridicità delle accuse contro Saddam – le famose armi di distruzione di massa – sarebbe stato censurato a torto, nonostante allora non avesse prove delle proprie affermazioni.

E, più di recente, si può registrare come tali media hanno accreditato l’avvelenamento di Aleksei Navalny per opera del Cremlino senza che sia stata esibita alcuna prova in proposito (sarebbe interessante sapere, per esempio, la quantità di Novichok riscontrata nel suo corpo, dato che un’infinitesima dose non ne avrebbe permesso la sopravvivenza…).

I media avrebbero dovuto riportare le parole di Trump, accompagnandole semmai con analisi negative. Censurare è deleterio e ancor più deleterio, e inquietante, è censurare il presidente ancora legittimo degli Stati Uniti, figura istituzionale scelta dai cittadini.

In tal modo la stampa ha assunto su di sé il ruolo indebito di arbitro insindacabile del processo politico, senza alcun titolo istituzionale né alcun mandato, e senza alcun rispetto né dei cittadini né dei suoi lettori, obbedendo in ciò solo al mandato ricevuto dai padroni-editori, con grave nocumento della libertà e professionalità dei giornalisti.

Precedenti ignorati

Incostituzionali risultano peraltro le iniziative presidenziali di Biden, che pur se accreditato di un maggior numero di voti, non è ancora presidente degli Stati Uniti fino alla concessione della vittoria da parte di Trump o al termine del processo elettorale che, finché è oggetto di contenzioso istituzionale, resta aperto.

Da questo punto di vista risultano più rispettose delle istituzioni Usa e dei suoi cittadini Russia e Cina, che stanno attendendo l’ufficialità per riconoscere Biden, piuttosto che i Paesi europei, che l’hanno già fatto.

Il rispetto dei fondamenti della democrazia è il minimo richiesto a media che pretendono di porsi a difesa della stessa.

Infine, risulta incredibile l’irritazione per la mancata concessione della vittoria da parte di Trump, dato che esiste un precedente opposto, quando il democratico Al Gore si arrese a George W. Bush solo il 13 dicembre, dopo aver contestato accanitamente lo scrutinio della Florida e solo dopo una sentenza della Corte Suprema.

A tale proposito, il leader dei senatori repubblicani, Mitch McConnell, ha sottolineato l’ipocrisia di questo pressing sui repubblicani per “accettare con leggerezza i risultati delle elezioni preliminari da parte degli stessi personaggi che hanno trascorso quattro anni rifiutando di accettare la validità dell’ultima elezione e hanno insinuato che anche questa sarebbe stata illegittima se avessero perso nuovamente” (New York Post).

La presa di posizione di McConnell è importante perché ricompatta i repubblicani dietro Trump in un momento in cui i neocon stanno cercando di affondarlo per prendere il controllo del partito.

Non solo i neocon, anche lo stolido George W. Bush, che si è congratulato con Biden attirandosi il titolo di “patriota”. D’altronde Biden votò a favore della guerra in Iraq dichiarata dal presidente in questione, come ricordatogli di recente da Bernie Sanders (InsideOver).

Si può notare, en passant, come Biden, e altri con lui, non solo non ha avuto danni da quel tragico errore, costato centinaia di migliaia di vite e il dilagare del terrorismo, anzi…

Trump licenzia Esper

In queste ore, il licenziamento del Capo del Pentagono, generale Mark Esper, da parte di Trump. Notizia misteriosa, ché non ci sono crisi militari in atto.

Torna alla memoria la profezia di Biden, il quale disse che l’esercito si sarebbe occupato di cacciare Trump, se questi si fosse rifiutato di lasciare la Casa Bianca.

Non si tratta di parole “dal sen fuggite”, se il Capo di Stato Maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, generale Mark Milley, prima delle elezioni ha dovuto indire una reunion segreta per smentire tale possibilità.

Così si può ipotizzare che qualcuno in questi giorni abbia sondato Esper perché si adoperasse in tal senso a dispetto di Milley (che, a fatto compiuto, non avrebbe potuto far nulla), e che Trump abbia sventato il colpo (di Stato)… ma sono solo ipotesi.

L’impresa di ribaltare è quasi impossibile, ma Trump è obbligato a tenere. Fuori dalla Casa Bianca, lo aspetta il carcere (Politico).