14 Novembre 2024

La rivoluzione di Trump e le guerre infinite

Le nomine di Trump indicano che si sta tutelando dai nemici interni, iniziativa necessaria per far cambiare rotta all'America. La guerra Ucraina finirà, il Medio oriente resta un'incognita
La rivoluzione di Trump e le guerre infinite
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Le prime nomine di Trump segnalano le prospettive della sua presidenza. Il nuovo capo della Cia, John Ratcliffe, ha difeso strenuamente Trump sul Russiagate, polpetta avvelenata confezionata dallo Stato profondo e dal partito democratico (e dell’intelligence inglese, dal momento che era fondato su un dossier dell’ex agente britannico Christopher Steele, ma questa è un’altra storia).

Tale nomina corre in parallelo a quella del nuovo ministro della Giustizia, Matt Gaetz, anch’egli strenuo difensore di Trump nei confronti dello Stato profondo, e della ragionevole Tulsi Gabbard a presidente dell’Intelligence nazionale, che coordina le varie agenzie Usa, altra antagonista del deep state.

Contrastare il deep state

È evidente che Trump voglia anzitutto contrastare il nemico interno che lo ha bersagliato con inchieste e operazioni di disturbo e non lo ha protetto da possibili attentati.

La nomina di Pete Hegseth, un anchorman televisivo, a capo del Pentagono ha uno scopo analogo, essendo il personaggio avulso dall’apparato militar industriale, collegato in maniera inestricabile al deep State. Tutte nomine che indicano come la nuova presidenza Trump voglia contrastare i veri centri di potere dell’Impero.

Un’opera che dovrebbe permettergli una navigazione più tranquilla, senza il feroce contrasto che caratterizzò il suo primo mandato. Anche la nomina di Elon Musk e Vivek Ramaswamy al neonato “Dipartimento per l’efficienza governativa” va in tale direzione perché, oltre a tale compito, ha quello di “ristrutturare le agenzie federali”.

La lotta al deep state non risponde solo a una logica difensiva. L’ascesa di Trump ha una portata rivoluzionaria e per riuscire deve piegare il potere reale, quello che ha retto l’Impero nel post 11 settembre.

D’altronde, se vuole davvero realizzare l’isolazionismo, che nelle forme resta tutto da vedere (impossibile un ritiro completo degli Usa ai suoi più ristretti interessi), cambiando così rotta all’Impero, deve decapitare o sottomettere il vero dominus.

Certo, tale dominus ha l’altro pilastro nella tecnofinanza, ma la scommessa è che parte di essa, o tutta, si adatterà alla nuova direttrice perché gli offre nuove prospettive. Scommessa in parte già vinta anche grazie a Musk, come si è visto nelle elezioni, dove parte della tecnofinanza ha appoggiato il nuovo corso.

Questi, dunque, i nuovi orizzonti, che vedono l’America tentare di abbandonare la pretesa dell’unilateralismo per riorientarsi e interagire in maniera meno devastante con il mondo multipolare, come potenza primaria ovviamente.

Chiudere la guerra ucraina per chiudere le guerre infinite

Data tale prospettiva è ovvio che la cessazione delle ostilità in Ucraina è di grande rilevanza simbolica. Non si tratta di fare un favore a Putin, semplicemente di recedere dalle guerre infinite.

Quest’ultima prospettiva aveva la pretesa di riportare l’America ai fasti post ’89, quando la caduta del Muro le consegnarono la primazia globale. Lanciata nel post 11 settembre, la sfida di abbattere gli ultimi ostacoli che si frapponevano all’unilateralismo, sottomettendo le entità geopolitiche, tra cui l’Europa, che avevano conservato o rafforzato la loro autonomia rispetto all’impero centrale, non ha funzionato, anzi si è rivelata catastrofica (anche per il mondo).

Non ha solo reso l’Impero disfunzionale limitando la sua interazione col mondo alla sola Forza, ma soprattutto non ha piegato la Cina, il vero competitor globale e bersaglio primo del Progetto per un nuovo secolo americano. Pechino, infatti, ha continuato la sua crescita tanto da rivaleggiare con gli Usa.

Inoltre, sottostimando la Russia, ritenuta una grande stazione di benzina armata di testate atomiche, i fautori di tale direttrice hanno fatto un errore di calcolo catastrofico. Si era pensato che bastasse sottrargli l’area post sovietica con i vari regime-change nei Paesi ex sovietici ed estrometterla dal Medio oriente per ridurla all’insignificanza e al collasso successivo. Non è andata così e la guerra per procura ucraina, con la quale si è tentato di forzare tale esito, ha solo incrementato i danni conseguenti (all’Impero ovviamente).

Infatti, ha spinto la Cina a serrare i ranghi con Mosca, la quale, resistendo, si è ripresa il ruolo di potenza globale, e ha accelerato la transizione verso il multipolarismo. Così, chiudere la guerra ucraina ha anche un significato simbolico: insieme con essa si intende chiudere l’era delle guerre infinite.

Il Medio oriente impazzito

Per quanto riguarda il Medio oriente, dove l’era delle guerre infinite ha avuto il suo brodo di coltura e ora ne vede il precipitato finale, con le atrocità di Gaza come epifania degli orrori insiti in tale prospettiva, le nomine di Trump di ultras filo-israeliani in alcuni posti chiave può voler dire che Israele continuerà ad avere mano libera verso i Paesi vicini, con prospettive di una guerra su larga scala contro l’Iran, come accaduto con l’attuale amministrazione Usa. Ma anche no.

Infatti, se Trump vuole avere libertà di manovra per tentare vie di distensione nella regione, deve coprirsi le spalle con la destra ebraica. Così, con tali nomine, sembra voler ripercorre la strada della passata presidenza, quando a tale scopo imbarcò John Bolton. Da vedere, però, se accadrà come allora, quando, anziché gestire il superfalco, ne subì l’aggressività.

Detto questo, anche nella migliore delle ipotesi è impossibile che Trump riesca a rimettere a posto il puzzle mediorientale. Troppe le variabili impazzite in gioco, a iniziare dalle insane pulsioni della destra israeliana, condivise da parte delle opposizioni, dal brutale cinismo di Netanyahu e dall’odio e le conflittualità che le atrocità di Gaza hanno disseminato nella regione.

Trump può forse, sempre se ne avrà la possibilità, chiudere l’attuale conflittualità, far svaporare l’opzione di una guerra con l’Iran, ma sperare in una soluzione del conflitto israelo-palestinese è irenico. Gli orrori di Gaza hanno avviato una crisi duratura, che qualche analista ha paragonato alla guerra dei 30 anni in Europa.

I neocon e Israele hanno provato a rimodellare il Medio oriente con la forza e generato altrettanta resistenza. Il processo è ora irreversibile. La regione è destinata a cambiare, ma l’esito è di ardua previsione. Per ora tutto si riduce alla cronaca (nera).

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